Introduzione
Indice
Sì, geotermia islandese e freddo polare nella stessa frase: sembra una battuta, in realtà è un modello energetico che scalda città intere. Il teleriscaldamento geotermico fornisce acqua calda a quasi tutte le abitazioni del Paese, con bollette più leggere e aria più pulita. Ma come funziona davvero? E, soprattutto, cosa può imparare l’Italia che ospita i pionieri di Larderello? In questo viaggio chiaro e concreto evitiamo tecnicismi inutili, raccontiamo numeri e meccanismi, e smontiamo qualche mito (niente geyser in salotto, promesso). Pronti a scendere sotto i nostri piedi?
Geotermia islandese, in parole semplici
La geotermia islandese sfrutta il calore naturale del sottosuolo: acqua piovana filtra nel terreno, si riscalda lungo fratture e camere magmatiche, torna in superficie come acqua calda o vapore. La rete pubblica capta questa risorsa attraverso pozzi (decine o centinaia per area), la convoglia in centrali di scambio dove il calore viene trasferito all’acqua pulita di rete, e la invia nelle case tramite tubazioni coibentate. È il teleriscaldamento geotermico: un “radiatore gigante” condiviso.
Non produce solo comfort: riduce le importazioni di combustibili, stabilizza i prezzi, limita le emissioni locali. Per l’elettricità si usano impianti separati, dove il vapore muove turbine: due usi diversi, spesso confusi. Qui ci concentriamo sul riscaldamento, vero segreto per cui le case riscaldate con geotermia sono la norma.

Perché proprio l’Islanda? Geologia e buon senso
L’Islanda siede sul Rift medio atlantico: crosta sottile, vulcani attivi, gradiente geotermico elevato. Significa temperature utili a pochi chilometri di profondità e un’acqua sotterranea abbondante. A questo si sommano scelte pubbliche lungimiranti: dagli anni ’30 Reykjavik iniziò a sostituire il carbone con reti di acqua calda geotermica. Il risultato? Oggi la geotermia islandese copre quasi tutto il fabbisogno di riscaldamento domestico, e l’elettricità è prodotta quasi interamente da rinnovabili (idroelettrico e geotermico). Il caso islandese dimostra che la geologia aiuta, ma governance, investimenti e manutenzione fanno la differenza.

I numeri che contano (e perché non sono un “miracolo”)
Parliamo di ordini di grandezza. Le utility islandesi stimano che circa il 90–95% della popolazione sia servita da teleriscaldamento geotermico con acqua a 70–100 °C, a seconda delle reti. Le perdite di rete sono contenute grazie a tubazioni isolate e ad anelli ridondanti che evitano i blackout termici.
Gli impianti più noti – come Nesjavellir ed Hellisheiði – producono sia elettricità sia acqua calda per la rete di Reykjavík, a testimonianza di un’integrazione che ottimizza le risorse. Nessun trucco: sono infrastrutture pianificate, pagate con tariffe trasparenti e reinvestimenti costanti. Per le case riscaldate geotermia si traduce in stabilità di prezzo e comfort affidabile anche durante bufere e ondate di gelo.
Come funziona una rete di teleriscaldamento geotermico
Immagina tre livelli. (1) Campo geotermico: pozzi che intercettano fluidi caldi; pompe e valvole regolano portate e pressioni. (2) Centrale di scambio: il calore passa a un circuito secondario di acqua dolce potabile che alimenta la città; qui si regolano temperatura, addolcimento e disinfezione. (3) Distribuzione urbana: dorsali principali e sottostazioni di quartiere che mantengono la temperatura, più scambiatori condominiali o domestici.
Il circuito domestico alimenta radiatori o pannelli radianti, spesso anche acqua sanitaria. Il rientro dell’acqua tiepida alla centrale consente il ricircolo con minime perdite. La manutenzione programmata e i sensori di rete (oggi IoT) ottimizzano temperatura e pressione in tempo reale. È così che la geotermia islandese diventa servizio pubblico quotidiano, non attrazione turistica.

Costi e bollette: perché conviene (anche quando il gas scende)
La convenienza non nasce dal “calore gratis”, ma da prevedibilità e capex ben spalmato nel tempo. Realizzare pozzi e reti costa, ma i combustibili sono ridotti quasi a zero e i prezzi non dipendono dal mercato del gas. In Islanda ciò ha reso competitive le tariffe domestiche per decenni, attenuando shock come le crisi petrolifere o le tensioni geopolitiche. Inoltre, le utility investono in efficienza di rete: isolamento, pompe a giri variabili, valvole intelligenti. Il risultato è un TCO (costo totale di proprietà) favorevole per la collettività. In un condominio, una sottostazione geotermica sostituisce caldaie individuali, riducendo manutenzione, canne fumarie e rischio di guasti invernali.
Benefici ambientali e aria più pulita
Il teleriscaldamento geotermico abbatte le emissioni locali: niente camini di quartiere, niente NOx, meno PM. Globalmente, l’impronta carbonica dipende dalla chimica del campo (CO₂ disciolta) e dalla gestione dei reflui. Le best practice islandesi prevedono re-iniezione dei fluidi nel serbatoio e abbattimento dell’H₂S. A Reykjavík, progetti di mineralizzazione della CO₂ nel basalto (CarbFix) hanno mostrato che è possibile intrappolare l’anidride carbonica in carbonati stabili in pochi anni. L’effetto sulla salute è tangibile: meno smog invernale, migliore qualità dell’aria vicino alle scuole e alle aree residenziali.

Reykjavik: dalla scuola elementare al sistema metropolitano
La storia inizia negli anni ’30 con una scuola e un ospedale riscaldati a geotermia; negli anni ’60 la città decise di estendere la rete a tutte le abitazioni, accelerando negli anni ’70 con la crisi del petrolio. Oggi la rete metropolitana distribuisce milioni di metri cubi di acqua calda all’anno. Il sistema è modulare: nuovi quartieri si collegano tramite anelli, si integrano impianti di pompaggio e serbatoi d’accumulo per coprire i picchi mattutini. È un esempio di urbanistica energetica: l’energia non è un “accessorio”, ma una spina dorsale su cui progettare le città.
E l’Italia? Larderello, passato che può diventare futuro
L’Italia non parte da zero: Larderello è la culla mondiale della geotermia elettrica e molte aree hanno risorse a bassa e media entalpia utili al riscaldamento. Dalla Toscana al Nord-est, fino ad alcune città del Centro-Sud, si possono realizzare reti a 4ª e 5ª generazione: temperature più basse, pompe di calore in serie, recupero calore da acquedotti e data center, reti bidirezionali per edifici che immettono e prelevano calore. Le lezioni per l’Italia sono tre: pianificazione urbana, consorzi pubblici/privati per gli investimenti e regole chiare su concessioni, re-iniezione e monitoraggi ambientali. Non serve avere geyser: bastano 35–80 °C a profondità modeste per alimentare reti di quartiere efficienti.
Teleriscaldamento geotermico: tecnologie chiave spiegate bene
Scambiatori a piastre: trasferiscono calore tra circuito geotermico e acqua di rete senza mescolare i fluidi.
Pozzi di produzione e re-iniezione: estraggono e reimmettono l’acqua calda preservando il serbatoio.
Valvole di miscelazione: stabilizzano la temperatura d’immissione (es. 80–90 °C in inverno, 65–70 °C in mezza stagione).
Pompe di calore di rete: elevano di qualche grado l’acqua di ritorno, recuperando energia e riducendo il fabbisogno di punta.
Sistemi di supervisione (SCADA): monitorano portate, pressioni, qualità dell’acqua, perdite.
Coibentazione: tubazioni pre-isolate in acciaio o PEX riducono dispersioni e interruzioni.
“Ma funziona anche nelle città grandi e antiche?”
È la domanda che tutti fanno. La risposta breve è sì, ma per gradi. Si parte da isole di calore: un quartiere nuovo, un polo ospedaliero, un campus. Si posano dorsali principali e si convertono gli impianti condominiali con scambiatori. Le case riscaldate geotermia non richiedono demolizioni: spesso basta sostituire le sottostazioni, tarare i radiatori, ottimizzare l’isolamento. Gli edifici storici si collegano con scambiatori dedicati per non toccare gli impianti interni. In parallelo si programma il recupero calore (fognature, data center, industria) nella stessa rete: la geotermia diventa la “base” stabile, il resto copre i picchi.
Quanti gradi servono? Bassa vs media entalpia
Per il teleriscaldamento geotermico non servono per forza 120 °C. Reti moderne lavorano con 50–80 °C in mandata e 30–50 °C in ritorno, sostenute da pompe di calore centralizzate. Laddove la risorsa fornisce 35–45 °C, si progetta una rete di 5ª generazione: edifici con pompe di calore individuali collegate a un anello termico che scambia energia in tutte le stagioni. In aree con risorsa più calda, si usano scambiatori diretti senza pompe di calore, come in molta geotermia islandese. L’approccio “giusto grado al giusto uso” massimizza efficienza e riduce i costi di perforazione.
Benefici economici locali: filiera, lavoro, turismo termale
Una rete stabile attira imprese energivore e apre una filiera di perforazione, tubazioni, automazione. I comuni risparmiano su qualità dell’aria (meno emergenze smog) e su manutenzione delle caldaie pubbliche. Anche il turismo ne beneficia: in Islanda, gli impianti geotermici convivono con spa e servizi wellness, creando valore aggiunto. In Italia, aree con risorse naturali possono immaginare percorsi educativi e musei dell’energia: raccontare ai cittadini come funziona una rete aumenta l’accettabilità sociale.
Impatti ambientali e come gestirli bene
Ogni progetto serio prevede studi idrogeologici, modellazione del serbatoio e piani di re-iniezione per evitare subsidenza e cali di pressione. Le emissioni non sono nulle, ma controllabili: si trattano gas acidi (H₂S) e si convoglia la CO₂ in mineralizzazione quando disponibile. Il rumore di perforazione è temporaneo; in esercizio gli impianti sono silenziosi. Le acque di processo non devono mai entrare negli acquedotti: per questo si progettano scambiatori e drenaggi di sicurezza. Con regole chiare, la geotermia islandese dimostra che si può conciliare tutela ambientale e servizio pubblico.
Lezioni pratiche per l’Italia: dove partire domani
- Mappare le risorse: dati geologici, termici, falde, pozzi esistenti (acquedotti, termali).
- Scegliere aree-pilota: quartieri densi, ospedali, università, zone industriali con domanda costante.
- Progettare reti scalabili: dorsali ad anello, sottostazioni modulari, spazio in cunicoli tecnologici.
- Finanziare con tariffe stabili: contratti di lungo termine e fondi europei per ridurre il costo del capitale.
- Norme snelle: iter autorizzativi chiari per perforazioni e re-iniezione; monitoraggi pubblici online.
- Comunicare bene: visite in cantiere, mappe interattive della rete, bollette trasparenti.

Miti da sfatare (e risposte brevi)
“Serve vivere sopra un vulcano.” No: bastano gradienti moderati e progettazione con pompe di calore.
“L’acqua geotermica è corrosiva, quindi impossibile.” Si gestisce con materiali idonei e scambiatori separati.
“Consuma l’acqua della falda.” Il ciclo chiuso con re-iniezione mantiene l’equilibrio idrico.
“È troppo cara.” Il capex iniziale è alto, ma il costo livellato nel tempo è competitivo e stabile.
“Odorerà di zolfo in tutta la città.” I sistemi moderni abbattono l’H₂S e monitorano le emissioni.
Caso reale: Hellisheiði e la rete di Reykjavík
Il complesso Hellisheiði integra turbine per elettricità e grandi scambiatori per l’acqua di rete. L’energia termica residua viene sfruttata per riscaldamento urbano; il CarbFix re-inietta CO₂ e gas acidi in basalti profondi, trasformandoli in carbonati. Sulla dorsale verso Reykjavík, serbatoi d’accumulo e stazioni di pompaggio mantengono la temperatura anche nei picchi di domanda mattutini. Questo mix spiega perché la geotermia islandese è riconosciuta come infrastruttura strategica, non come nicchia.

Quanto risparmiano famiglie e imprese
I confronti diretti variano per tariffe e clima, ma le stime mostrano che una famiglia tipo con teleriscaldamento geotermico paga meno di un sistema domestico a gasolio o GPL, e simile o inferiore al metano, con in più prezzi stabili nel tempo. Le imprese energivore beneficiano di calore a costo fisso per processi industriali leggeri (serre, itticoltura, essiccazione). In Islanda il mix di elettricità rinnovabile e calore geotermico ha attirato data center e attività che richiedono energia costante.
Roadmap di una città italiana in 5 mosse
Fase 1 – Studio (0–12 mesi): rilievi geologici, sondaggi pilota, censimento domanda termica.
Fase 2 – Progetto (12–24): definizione rete, CAPEX/OPEX, iter autorizzativo.
Fase 3 – Cantiere (18–36): perforazioni, posa dorsali, sottostazioni di quartiere.
Fase 4 – Avvio (36–42): collaudo, taratura, campagne informative ai cittadini.
Fase 5 – Scala (42+): estensione ai quartieri limitrofi, integrazione con pompe di calore e recupero calore industriale.
Un link che conta davvero
Per approfondire con dati ufficiali sul teleriscaldamento geotermico in Islanda, ecco due risorse autorevoli da citare nell’articolo:
UN Chronicle – “Iceland’s Sustainable Energy Story: A Model for the World?” – analisi divulgativa dell’ONU sul modello energetico islandese.
District heating — National Energy Authority (Orkustofnun) – pagina tecnica dell’autorità energetica islandese con storia, funzionamento e copertura delle reti.
FAQ essenziali
La geotermia può alimentare anche il raffrescamento estivo? Con reti a 5ª generazione e pompe di calore reversibili sì, usando la stessa infrastruttura.
Quanti anni dura una rete? Le tubazioni principali superano spesso i 30–40 anni con manutenzione programmata; sottostazioni e pompe si rinnovano più di frequente.
Si può combinare con solare e biomasse? Sì: la geotermia dà la base, altre fonti gestiscono i picchi o l’estate.
Serve trivellare in centro? Di solito i pozzi sono fuori città; in centro si posano solo tubazioni e scambiatori.
Conclusione
La geotermia islandese non è un “miracolo del nord”: è un servizio pubblico fatto di pozzi, scambiatori, reti ben gestite e regole chiare. Il teleriscaldamento geotermico ha messo al caldo il 90% delle case, stabilizzato le bollette e migliorato l’aria. L’Italia può farne tesoro: partire da quartieri e poli pubblici, pianificare reti moderne, combinare pompe di calore e recupero calore. Il calore c’è già: aspetta solo infrastrutture e visione. E chissà, magari un giorno diremo anche qui: “fuori fa freddo, ma sotto casa scorre energia pulita”. (Sì, era una battuta… ma seria.)
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